Gogna medioevale o gogna mediatica?

Era meglio soffrire fisicamente o essere torturati mentalmente?

La parola gogna è stata usata in tantissimi articoli di giornale e sul web a proposito di una serie di violenze che hanno colpito donne e ragazze in diverse parti d’Italia, proprio in questi giorni. Episodi diversi, gravissimi, che hanno comunque un denominatore comune: la gogna.

Questo strumento di tortura che si credeva conservato a futura memoria ed educazione all’interno dei Musei della Tortura ha però improvvisamente ripreso vitalità grazie all’uso indiscriminato del web. Così la vittima offerta al pubblico scherno e ludibrio diventa adesso la vittima di una “gogna mediatica”.

Questi i fatti: una giovane donna di 31 anni si è tolta la vita perché non riusciva a far rimuovere dei filmati hard che aveva fatto per compiacere un suo partner, una ragazza ubriaca è stata violentata dentro il bagno di una discoteca da uno sconosciuto, mentre le amiche arrampicate nel bagno accanto filmavano tutto e ridacchiavano, infine una mamma ha tenuto nascosti anni di violenza di un branco di ragazzini nei confronti di sua figlia, loro coetanea, per paura delle immagini e dei video che avrebbero potuto circolare in paese.

In tutti e tre i casi, in questo scorcio di fine estate del 2016, si è parlato a buon titolo di gogna. Cosa è, o meglio, è stata la gogna? Intorno all’anno mille e poi per tutto il medioevo e nel corso degli anni, fino a tutto il ‘700, la gogna è stata considerata uno strumento ‘rieducativo’ oltre che punitivo. Non la si considerava mortale, anche se in molti casi lasciava dei segni pesanti sul corpo della vittima: generalmente all’inizio si trattò di un palo fissato al centro della piazza a cui si legavano le catene che imprigionavano l’uomo o la donna. Successivamente si pensò di chiudere il collo ed i polsi della vittima fra due tavole di legno con tre fori, per le mani e la testa. E questa è la forma che si è tramandata nelle immagini, nelle rievocazioni e nei film.

Quando la vittima si ritrovava bloccata, entravano in scena i passanti (cioè persone che fino a quel momento erano innocui compaesani o vicini di casa) che si trasformavano in aguzzini temibili: la prassi era che si prelevasse dai pozzi neri o dalle strade dello sterco per imbrattare capelli, naso, bocca; oppure si lanciavano sassi o verdure marce, a volte si bruciacchiava il malcapitato con i carboni o gli si procuravano ferite poi ricoperte di sale, o più gentilmente gli si faceva il solletico.

Questo spettacolo, insieme a ben altre forme di tortura (rogo, squartamento, tanto per citarne alcuni. Vedi Museo Tortura) era uno dei più popolari. Simili forme di intrattenimento si svolgevano nelle piazze di tutta l’Europa, da nord a sud, più o meno settimanalmente. Decine e centinaia di stampe tra il 1450 e il 1750 ci presentano popolino e nobili, tutti insieme riuniti, per assistere e divertirsi davanti a questo spettacolo, che sembrava ancora più interessante se la vittima era una donna o più di una.

Poi è venuto il progresso e grazie ad esso sembrava che la parola tortura potesse essere messa in soffitta come la gogna, la ghigliottina e tanti altri strumenti di un tempo passato. Sembrava proprio una stranezza dei nostri antenati medioevali ma invece si scopre che non è affatto così. Anzi, si ripresenta adesso in forme ancora più terribili: oggi le persone nascoste dietro il velo invisibile del web, fanno lo stesso usando un semplice ‘clic’ e torturando psicologicamente e mentalmente la vittima.

Si sentono liberi di diffondere, riprendere, esprimere feroci giudizi anche se non c’è consenso, pur di infangare fino all’umiliazione estrema delle vittime che non hanno mai visto né conosciuto e chiedono solo di essere lasciate in pace. Perché? Forse come dicevano i filosofi è nella natura dell’uomo la possibilità trasformarsi in belva? In questo senso ci sono molte prove e test psicologici condotti da centri di ricerca e università che ci dimostrano come l’uomo, se lasciato libero di agire su una vittima inerme, possa per delle ragioni sconosciute decidere di usare il massimo della sevizia e del dolore da infliggere senza nessun motivo apparente.

Il web, con la capacità di raggiungere milioni di utenti, con la sua perenne e perpetua movimentazione di contenuti è il tempio dove si va a celebrare questa nuova forma di tortura, a cui apparentemente ad oggi non si riesce a trovare un freno né una autorità che possa di diritto intervenire. Tanta e tale è la proliferazione e diffusione dei contenuti.

La riflessione che viene da fare è che almeno nel medio evo se l’aguzzino voleva esercitare un diritto di ledere o offendere la vittima lo doveva fare davanti a tutti, sul web invece, non c’è nemmeno una faccia, solo un bit. E, magari, nei tempi andati si andava alla gogna per futili motivi o per maldicenze, e anche con processi sommari ma era certamente meglio che morire di vergogna per colpa dell’uomo che si ama, delle amiche, o del gruppo di ragazzi con cui si va a scuola …

E comunque, anche se è già stato scritto, vale la pena di sottolinearlo ancora il ruolo della donna. Con la caccia alle streghe, sui roghi, nei tribunali dell’Inquisizione si suona sempre la stessa musica, l’uomo che di fronte alla potenza sessuale della donna, al mistero della capacità di dare la vita esercita le forme più cieche ed ottuse di violenza. Quanto durerà ancora?