BULLISMO. ANDIAMO A SCUOLA PER COMBATTERLO. ANDIAMO AL MUSEO PER CAPIRLO.

Le scuole sono finite, è il momento di godersi le meritate vacanze, di lasciarsi alle spalle mesi di studio passati sui libri. C’è una cosa però che non va assolutamente dimenticata e su cui è necessario invece concentrare l’interesse. Il fenomeno dilagante del bullismo. Sia nella versione più diretta e spiccia, sia attraverso i social network, un mezzo sottile per colpire le persone attraverso la rete che sta diventando sempre più diffuso e pericoloso.

Quest’ultimo tipo di bullismo riguarda quei casi di “ricatto” e sopraffazione della vittima dopo essere stata ripresa in atteggiamenti equivoci o lascivi, spesso sotto l’effetto di droghe somministrate a tale scopo. Episodi in cui ragazzi o ragazze, storditi da alcool e droghe, vengono messi in mezzo da un gruppo, ripresi mentre fanno sesso e poi ricattati in rete. A questo tipo di pressione fanno seguito suicidi, depressione, abbandono.

Può sembrare strano ma se guardiamo ad una generazione “look down” che passa gran parte del tempo a guardare il monitor di uno smartphone o di un tablet, che quindi vede scorrere nella condivisione sui social una buona parte della propria vita, si capisce come mai si senta parlare sempre più spesso di cyber-bullismo.

Cambiano i mezzi e gli strumenti ma la base della sopraffazione rimane sempre la stessa. Eppure il termine “Bullo”, che abbiamo ereditato dalla lingua olandese ha davvero una storia particolare. All’origine c’è la parola boel che in olandese vuol dire fratello, poi, questa parola una volta adottata dalla lingua inglese si trasforma in bully.

Bully era usato nel secolo scorso per indicare tesoro (cioè se rivolto ad una persona). Quindi, e questo è curioso, all’inizio non aveva un valore negativo, anzi, voleva indicare un “bravo ragazzo”, però nel corso del tempo il significato di questa parola si è capovolto: oggi infatti è sinonimo di “molestatore di deboli”.

Con bullismo oggi si intende chi, giovane o giovanissimo, con cattiveria e determinazione si diverte a torturare sia fisicamente, sia a livello psicologico, vittime incapaci di difendersi adeguatamente. In ambito lavorativo – fra adulti – prende il nome di mobbing; in ambito di forze armate si chiama nonnismo, ma si tratta sempre della stessa cosa.

Nel lavoro il mobbing riguarda l’uso, in genere da parte di capi reparto, datori di lavoro, superiori, di atteggiamenti o di azioni che sono tesi a mettere la persona in uno stato di agitazione, costringendola a compiere delle azioni che sono contro la sua volontà. In alcuni casi di autentico autolesionismo.

Il nonnismo, nelle forze armate ma anche in alcuni gruppi sportivi, riguarda invece l’uso della violenza e della costrizione nei confronti delle reclute o degli atleti più giovani: si va dalle forme leggere, tipo taglio dei capelli o dei peli in alcune parti del corpo, a vessazioni di tipo sessuale e lesioni di vario genere. Spesso si tratta di “prove di forza” a cui la vittima non può sottrarsi, avendo davanti un branco che la costringe con la forza.

Il bullismo e la tortura hanno una larga zona di contiguità ed affini perché il bullo è in genere incapace di riconoscere le emozioni, così come il torturatore. Il bullo che cerca di affermarsi a nel ruolo di prevaricatore in genere si infila in un corridoio di violenza, una escalation che va dai piccoli episodi di vandalismo, ai furti, alla piccola criminalità.

Riconoscere ed evitare che i “bulli bambini” percorrano questa escalation è un modo per evitare loro di diventare pericolosi da adulti con comportamenti violenti e antisociali. All’opposto la vittima, specie se in età infantile, se subisce passivamente questi atti, è condannata nel corso del tempo ad andare incontro a livelli di autostima sempre più bassi e ad entrare in forma continuativa in stati depressivi, per poi arrivare ad atti di autolesionismo ed anche suicidio.

Il bullismo così come la tortura prevede che la vittima sia “deumanizzata”: cioè si tende a guardare l’altro non come un nostro simile capace di esprimere sentimenti, si è soliti indicare gli altri con frasi tipo “non è un essere umano, si merita di essere trattata/o in quel modo”. Questo allontanare l’altro da noi, metterlo in una luce che lo rende un “diverso” fa sì che sia possibile agire senza contraccolpi psicologici.

Tanto i bulli quanto i torturatori non agiscono da soli, ma hanno bisogno di figure gregarie. In questo gioca un ruolo decisivo non tanto il riconoscimento della figura del “capo”, quanto il timore e l’ossequio verso il suo ruolo per la paura di poter diventare le prossime vittime. In genere è un atto rituale che serve ad affermare il dominio personale attraverso l’uso della violenza. Il bullismo, quanto la tortura, non risiede soltanto nella relazione carnefice-vittima, ma è un fenomeno collettivo, come dimostrato dalla storia della tortura, che coinvolge l’intero gruppo, che in genere sostiene e rinforza il fenomeno.

Cosa si può fare? La classe scolastica ad esempio è un ottimo spazio dove portare una cultura di dissuasione e di rispetto. La scuola dovrebbe svolgere un ruolo importante in senso positivo, con esercitazioni, giochi ed esperienze che siano in grado di disinnescare fino dalla più tenera età comportamenti devianti.

Evitare un’educazione autoritaria, capire che la punizione del bambino non serve: non evita il ripetersi dell’atto indesiderato e provoca comportamenti aggressivi di tipo difensivo. In questo può certamente essere di aiuto alla comprensione del fenomeno e del suo contesto storico, la scoperta e la visione di quelle che un tempo sono state le forme di coercizione e di punizione che si svolgevano all’interno degli edifici scolastici.

Una piccola ma interessante collezione di oggetti e strumenti punitivi che sono stati realmente usati e messi in pratica in ambito familiare è visibile presso i Musei della Tortura. Può essere un percorso interessante e suggerito da compiere, per disinnescare il prima possibile eventuali comportamenti aggressivi e di prevaricazione.

La violenza, e gli studi psicologici lo confermano con certezza, è un’abitudine che una volta stabilita come modello di comportamento è estremamente difficile e faticosa da sradicare. La conoscenza ed il riconoscimento del bullismo, anche nell’uso di strumenti e macchine per la punizione, è sicuramente un modo per portare il fenomeno al centro dell’attenzione dei giovani.