La tortura della croce

Quando i romani decisero di inchiodare Gesù a una croce, dopo averlo torturato e picchiato, quando cioè Ponzio Pilato decise di uccidere lui e non Barabba, non stavano punendo colui che aveva professato un Dio diverso da quelli romani. Ai romani di quella roba non fregava nulla, di norma erano soliti portarsi a casa i culti e le divinità che più gli piacevano. Non c’era un grande ordine in materia religiosa nel mondo romano, tant’è che vecchi riti etruschi, convivevano con quelli greci, o egizi.

Era stato così fino dall’inizio ma poi con l’espandersi dei confini dell’impero, che si andava allargando sempre più, il pantheon di divinità che i romani adoravano crebbe a dismisura. Tanto che nelle città romane ormai vi era una certa fiacchezza riguardo alla religione, proprio perché si andavano allentando in modo inesorabile i vecchi costumi ed i riti che avevano tenuto uniti fino dalle origini i popoli latini.

No, Gesù non è stato crocefisso perché predicava la parola di un unico Dio, anche gli Ebrei lo facevano da secoli e nessuno li aveva massacrati per questo. Pilato fece inchiodare Gesù sulla croce come un delinquente comune, e per oltraggiarlo ancora di più gli fece mettere a fianco due noti ladri e delinquenti comuni, costringendolo a morire di stenti e lentamente davanti agli occhi di tutti, negandogli il diritto ad una morte “decorosa”, perché doveva essere “torturato” come uno schiavo, un esempio per i ribelli. Nell’antica Roma solo gli schiavi potevano infatti essere torturati, ai cittadini romani spettava di diritto una morte nobile con la spada.

Gesù fu ucciso perché faceva discorsi rivoluzionari, riguardo all’eguaglianza degli uomini, di fratellanza e di un regno dei cieli che sarebbe stato offerto solo a chi aveva sofferto sulla terra. Ed è per questo motivo che si cercò di fare piazza pulita dei predicatori che lo avevano seguito a frotte durante la sua breve vita. Poco mancò che davvero l’impero romano riuscisse a sradicare per sempre la predicazione cristiana. Fu solo grazie alla potenza del messaggio e alla rete clandestina che avevano messo in piedi i primi seguaci.

Chi aveva assistito e partecipato a quello che era successo in Palestina si divise, come sempre succede quando le cose vanno male e si ha la polizia alle calcagna. Alcuni di loro si tennero in contatto con lettere e messaggi che sarebbero diventate le “epistole”, qualcuno ebbe l’ardire di venire a predicare proprio a Roma, perché sapevano che se avessero fatto breccia nella capitale avrebbero sfondato in tutto l’Impero. Quasi tutta le rete clandestina rimase costantemente in contatto continuando a fare proseliti con la predicazione sotterranea e clandestina.

In molti casi questi gruppi di uomini e donne, che si riunivano segretamente per pregare e confrontarsi, erano schiavi o appartenevano alle classi povere e più disagiate, per questo venivano tenuti d’occhio dalle autorità e dai cittadini romani. Quando poi accadevano disastri naturali o eventi di portata eccezionale come crolli, devastazioni, malattie o carestie era facile che fossero loro, con i loro modi sfuggenti, con le loro riunioni clandestine a finire nell’occhio del ciclone.

Esemplare in questo caso il grandioso incendio di Roma che prese il via nella notte fra il 18 ed il 19 luglio del 64 d.C. e che divampò per sei giorni e sei notti, anche a causa delle costruzioni romane, edifici anche di otto piani, che prevedevano un largo uso di legname. E’ noto che fu Nerone stesso a indicare nei cristiani gli artefici dell’incendio, che con ogni probabilità fu invece causato da un evento naturale.

In poco tempo si scatenarono vere e proprie cacce in diverse zone dell’impero. E qui furono messe in pratica una serie inenarrabile di torture, sofisticate alcune e di una brutalità sconcertante altre, per punire questo tipo di culto. La religione cristiana come si sa è costruita in gran parte sulle vite dei Santi che in quegli anni furono sottoposti a supplizi e torture di ogni tipo.

Anche se va fatta la tara a gran parte delle leggende che circolano intorno alle vite dei santi, circa miracoli e guarigioni, perché furono scritte in epoca medioevale narrando fatti ed eventi che avrebbero dovuto svolgersi circa mille anni prima… rimane il fatto che la storia dell’impero romano e del suo disfacimento è largamente connessa con l’espandersi della religione cristiana. Così com’è certamente innegabile per la storia che furono realmente compiute stragi e torture di massa sui primi cristiani. Ma il punto non è questo. Il paradosso che ci interessa è invece perché in un momento in cui l’impero romano stava attraversando una crisi economica, sociale e di identità con una corruzione dilagante e modelli allo sfascio, la vista di uomini, donne e bambini che si avviavano alla morte con serenità ottenne l’effetto contrario? Qual era la luce che brillava in fondo ai loro occhi?

La storia della tortura qualche risposta riesce a fornirla. Anche in altre epoche e in altre situazioni: uno su tutti vale l’esempio, che qualche storico cita a questo proposito, del Vietnam dove una forza soverchiante e in grado di usare forme di repressione e di violenza di gran lunga più potenti, venne ribaltata da una forza infinitamente più debole, ma convinta dei propri ideali, motivata e coesa.

Se sfogliamo le vite dei santi scopriamo che i primi predicatori cristiani sono passati quasi tutti in mezzo a terribili e terrificanti atrocità. I romani si sono sbizzarriti per secoli a perseguitare i cristiani in tutti i modi possibili e immaginabili, il più delle volte con delle torture ai confini della realtà. Si riteneva che più atroce fosse stata la violenza della tortura maggiore sarebbe stato l’effetto dissuasore sui nuovi proseliti.

In realtà proprio inventando torture terribili e rendendole pubbliche ottennero l’effetto contrario. L’efferatezza delle stragi provocò il dilagare del messaggio. Per molti di loro, condannati a vite grame, di schiavitù e di pena la religione cristiana rappresentò realmente una speranza in un aldilà. Ma chi assisteva a questi spettacoli, anche nell’arena dove i cristiani venivano mandati a frotte ad essere dilaniati dalle belve, il più delle volte lasciandosi morire inermi, senza lottare, senza combattere, finiva spesso per domandarsi: perché – si chiedevano – morire per un aldilà, subendo atroci torture? Forse davvero esiste un aldilà? Il supplizio così ottenne effetti contrari, minò lentamente e instillò nella mente delle persone la domanda su cosa spingesse questi uomini e donne a subire queste atrocità.

E la cosa, per un cittadino romano era ancora più dirompente perché contrastava con un altissimo il senso della dignità. Mai si sarebbe dovuto arrendere senza lottare. Però sorprendentemente, una volta radicata nelle menti, questa forma di religiosità fu in grado di allargarsi e diventare la religione di tutto l’impero.

Era la religione cristiana: era il messaggio di una religione che noi nelle nostre vite di oggi facciamo fatica a comprendere.