5 domande sulla tortura. In relazione ai massacri delle carceri brasiliane di Gennaio 2017

Riportato e denunciato dal sito di Amnesty International, evidenziato con forza lo stato di degrado e di sovraffollamento in cui versa il sistema carcerario brasiliano, ecco che puntuali scoppiano, come bombe ad orologeria, una serie di rivolte che portano il terrore e la descrizione di immani torture sui giornali di tutto il mondo.
Un numero impressionante di morti, quasi 120, molti decapitati e gettati fuori dalle mura del carcere come ammonimento, molti altri mutilati e seviziati, alcuni con il cuore strappato dal petto ancora in vita (con immagini riprese con telefonini per essere diffuse) altri arsi vivi. 
Questo ci porta ad alcune riflessioni e a domande sul perché l’uomo, quando si trova a compiere efferatezze, ritorna a eseguire gesti e rituali che si ripetono immutati nel tempo, fino dalla più remota antichità. Da questa domande nasce poi la spinta ad evidenziare il ruolo di denuncia che svolgono con coraggio e abnegazione organizzazioni come Amnesty International e anche la funzione educativo e sociale che svolgono strutture come i Musei Della Tortura che, contrariamente a quanto alcuni sostengono, non sono un luogo di celebrazione di efferatezze ma sono invece spazi di comprensione e di analisi, dove capire e indagare i motivi che spingono – da sempre – l’uomo a torturare i propri simili. 
Un luogo – i Musei – che dovrebbe essere sempre più terreno di visita e di confronto per ragazzi e scolaresche, perché solo dalla comprensione, dal confronto, può nascere un superamento. Negare l’esistenza di ciò che è stato ed è, non serve a nulla, è solo ipocrisia.
 
Dove un tempo c’erano i patiboli e le folle, oggi ci sono i telefonini. Perché?
La prima rivolta scoppiata il 1 gennaio nel penitenziario Anìsio Jobim, a Manaus in Brasile ha causato la morte di almeno 56 detenuti; poi nella prigione di Alcacuz, nello stato di Rio Grande do Norte, 26 omicidi; altre ancora sono avvenute nei giorni seguenti sempre nel gennaio 2017, per un totale di oltre 120 detenuti morti.
Si tratta della conseguenza di una guerra in atto fra due potenti fazioni di narcotrafficanti. Il Giudice del Tribunale che è stato uno dei primi ad entrare nel carcere ha raccontato: ” C’erano cadaveri ovunque, corpi fatti a pezzi e molti decapitati.” 
La maggioranza delle vittime che è stata decapitata, ha avuto il cuore strappato dal petto o il corpo smembrato. Le immagini di queste violenze inaudite sono state spesso riprese con dispositivi e cellulari per poter diffondere in rete il messaggio.
Quello che al tempo della ‘Caccia alle streghe’ avveniva sulla pubblica piazza, come monito per terrorizzare i cittadini e reprimere, oggi con l’uso delle tecnologie avviene attraverso il telefono con cui si riprendono le torture e le si mettono in rete. Cambiano i mezzi di diffusione, non più la presenza sul luogo, ma una diffusione globale della violenza in ogni angolo della terra. 
Il concetto però è sempre lo stesso, mutilare e straziare – terrorizzare e reprimere, l’unica cosa che cambia è il supporto tecnologico della diffusione. 

Perché la tortura impone spesso alla vittima di osservare da ‘vivo’ sé stesso che muore?
Nei Musei della Tortura sono riportate decine di esempi di casi e torture in cui l’obiettivo principale della tortura, non è solo avvicinare la persona il più possibile all’abisso della morte per poi farla ritornare indietro e ricominciare da capo, in un circolo senza fine… ma appunto la morte di sé, vista con gli occhi di chi sa quale terribile morte lo attende.
Cristiani perseguitati, ma anche streghe e disgraziati in epoca medioevale, che sono stati eviscerati o scuoiati da vivi, con l’obiettivo di mantenerli in grado di osservare con i loro stessi occhi quello che stava accadendo al loro corpo. Mutilazioni progressive, inflitte sapientemente per mantenere in vita.
Questo particolare tipo di orrore trova la principale e logica spiegazione nella infrazione di un tabù: la paura della morte amplificata dalla certezza dell’esecuzione e dalla vista che, è bene ricordare, regola quasi il 90% delle nostre percezioni corporee. 
È una variante perversa della tortura che non ha solo come finalità la confessione ed il cedimento, ma si pone invece l’obiettivo di far ‘soffrire’ ancora di più la vittima facendola assistere alla carneficina del suo stesso corpo. 

Perché certe torture ritornano nel tempo e si confermano, divenendo ancora più atroci?
Si può parlare di archetipi? Cioè di comportamenti che fanno parte di una componente primordiale dell’uomo? Di sicuro è ampiamente testimoniato e documentato l’uso da parte delle comunità Incas e di gran parte delle tribù indie, prima dell’arrivo di Colombo, dell’uso di sacrificare la vittima, portandola viva sul tempio e qui dopo un cerimoniale di offerta a Dio, veniva squarciato il petto e mostrato il cuore palpitante alla vittima stessa negli ultimi istanti di lucidità.
Quello che era una offerta di vittime sacrificali al terribile Dio Inca, è oggi il sacrificio umano dedicato allo spaccio di droga dei più potenti cartelli brasiliani. Forse nelle menti devastate di questi aguzzini non c’è la volontà di ripercorrere nei gesti, quello che si svolgeva nei tempi Incas, ma nella efferatezza e nell’orrore ne è una esatta replica. Non vi è niente di ‘spirituale’ in tutto ciò, è solo la memoria impressa che genera il ripetersi di certi gesti senza più logica se non la inaudita carica di violenza.

Perché si bruciano vivi gli uomini? Che funzione ha il fuoco?
il fuoco, così come l’acqua, per molte popolazioni barbare che invasero l’Europa dopo la fine dell’impero romano, (ma lo era fino dalle origini dell’uomo) è stata una prova per dimostrare davanti a Dio e agli uomini la colpevolezza di una persona.
Le Ordalie – così si chiamavano nei Tribunali– erano appunto prove in cui si chiamava la vittima a superare la soglia estrema gettandola nelle acque impetuose del fiume o bruciandola. Se il corpo fosse rimasto immune a questo tipo di ‘tortura’ i giudici avrebbero interpretato questo come un segno divino. Una intercessione o meglio la volontà di Dio di salvare quell’individuo.
Superstizione, divinità pagane, che si mescolavano con riti primitivi legati agli elementi della natura. Il fuoco come purificazione, come annullamento del male, fino alla totale scomparsa del corpo. 
Il fuoco in particolare svolse un ruolo nella caccia alle streghe proprio per il valore simbolico di questo elemento. Non mancarono in quei casi effetti scenografici orripilanti, come esecuzioni multiple di più ‘streghe’, bruciate vive sul rogo, rese mute con strumenti o con amputazione della lingua mentre sul posto venivano eseguiti brani musicali… per allietare i presenti.
Anche nelle carceri brasiliane, si è ripresentato questo tipo di violenza e tortura, con diverse vittime bruciate vive. Qui, come in altri casi di violenze carcerarie, l’obiettivo è di dare un messaggio di inaudita violenza e di totale sprezzo della vita umana. L’uomo quando decide di tornare ad essere ‘animale’ ritorna sempre alla sua base primordiale. Non è forse con il fuoco che molti uomini decidono di punire delle donne che hanno deciso di abbandonarli?
 
Perché succede così spesso che un carcerato diventi aguzzino e trasforma quella che è già una tortura, la segregazione, in una trappola mostruosa? 
Annunciato e mostrato in tantissimi film che hanno fatto epoca. Stanley Kubrick di Arancia Meccanica, con delinquenti che diventano poliziotti per torturare il loro ex compagno di bagordi, John Carpenter di 1997 Fuga da New York con la città trasformata in un enorme carcere e la giustizia affidata alle bande che imperversano nella metropoli abbandonata.
Applicato con successo nei lager nazisti, durante la seconda guerra mondiale e applicato più o meno colpevolmente in molte carceri, il sistema prevede che vi sia un secondo stato di controllo del carcere affidato alle mani dei carcerati che controllano i traffici.
Quello che colpisce e che viene denunciato continuamente da associazioni umanitarie come Amnesty International è che la condizioni sovrumane in cui vivono le persone richiuse in carcere è già una condanna ed un supplizio. Perché, è bene ricordarlo, la pena della reclusione per un animale sociale com’è l’uomo è di per sé una condanna estrema.
Si provi quindi ad immaginare quale girone infernale possa diventare un luogo dove la giustizia è affidata a dei fuorilegge! Ma tutto questo, come spesso accade, viene visto in modo completamente diverso dalle autorità.
Basti riflettere su quanto accaduto sempre riguardo alle carceri brasiliane e alle rivolte. Dopo il massacro di 111 detenuti, avvenuto nel 1992 nella prigione Carandiru di São Paulo tutti gli imputati – poliziotti – implicati nel processo sono stati assolti. Il direttore generale di Amnesty International Brasile ha dichiarato di fronte a questa decisone: “Questo è lo stato dei diritti umani in Brasile”.
Secondo la versione ufficiale, la polizia militare entrò nel blocco 9 del carcere di Carandiru per sedare una rissa tra detenuti. In seguito e nonostante la distruzione delle prove, è emerso chiaramente che gli agenti avevano deliberatamente ucciso 111 detenuti. Amen.